Il caso recente della morte della giovanissima Roberta Ragusa ha acceso i riflettori sulla violenza di genere.

Una premessa è d’obbligo. La riflessione trae spunto da un fatto di cronaca, quale è la morte drammatica della giovane Roberta Ragusa, per la quale è indagato il fidanzato 19enne. È doveroso precisare che, sebbene indagato, Pietro Morreale, il fidanzato, è da considerarsi innocente. Infatti, tale è l’indagato e l’imputato, fino a quando non vi sia una condanna a suo carico.

Ciò posto, la drammatica vicenda di cronaca lascia sgomenti tanto per il fatto di reato ex se – la tragica morte della ragazza – quanto per le circostanze che hanno preceduto la morte della Ragusa. 

Secondo quanto riportato da alcune testate giornalistiche, gli amici della coppietta hanno raccontato agli inquirenti alcuni episodi di violenza perpetrata dal Morreale ai danni della ragazza.

Roberta avrebbe voluto interrompere la sua relazione con Pietro, probabilmente perché infatuatasi di un altro ragazzo, ma non lo avrebbe fatto per paura della reazione del fidanzato. Da quanto è stato appreso dagli inquirenti, Pietro Morreale avrebbe nutrito nei confronti della ragazza una gelosia morbosa. Non è tutto. Alcune testimonianze raccontano che, nell’agosto scorso, Roberta fosse stata anche picchiata dal Morreale tanto da avere un occhio nero. Circostanza che sarebbe stata conosciuta dagli amici dei giovani e persino dalla madre del ragazzo la quale avrebbe imputato la colpa di quella violenza alla stessa giovane per aver provocato il figlio. 

Ecco, allora, una riflessione a margine. Una riflessione che non ha alcuna pretesa di completezza né di scientificità ma che vuole essere solo uno sfogo, un pensiero ad alta voce, con amici e, soprattutto tra amiche. Un pensiero da giovane donna, da fidanzata, da sorella maggiore, da amica.

Perché subire violenze? Perché essere vittima di gelosie morbose? La gelosia non è amore. La violenza non è mai giustificata. 

La prima considerazione concerne il contesto sociale. È difficile, non poco, trovare le parole e le sfumature di significato adeguate alla descrizione di una società complessa come la nostra. Ancora più ardua si rivela tale ricerca senza le opportune nozioni di carattere sociologico che confanno al caso. Mi scuso, quindi, se sarò inappropriata o indelicata o – ancor peggio – erronea nei contenuti. Questo, come ho detto, è da considerarsi al pari di un flusso di coscienza, di una confidenza con amiche.

Vi è, ancor oggi, una piccola credenza secondo la quale per essere realizzate sia sufficiente essere fidanzate o sposate. Una realizzazione intesa non solo dal punto di vista sociale ma anche – ed è ancor più grave – economico. 

Un’altra considerazione è da farsi sulla differenza di trattamento e di comportamenti tra uomo e donna. Sosteniamo – in modo più o meno esplicito – che alcuni comportamenti non si addicano alle donne ma solo agli uomini. E, di conseguenza, crediamo (quasi nessuno ne è immune) che i comportamenti inopportuni, quasi immorali, delle donne siano la causa delle reazioni illecite e talvolta giustificate degli uomini. Si pensi al caso Genovese. Quello che più ha fatto scalpore non è stata la crudeltà del Genovese, la violenza fisica, l’accanimento, le sevizie e le torture che questi praticava alle sue vittime. Ha fatto scalpore, invece, la presenza di ragazze, donne giovanissime a feste private con droga e alcool. Nessuno ha sindacato sulla presenza di 18enni o 20enni maschi, né sul consumo di droghe o alcool da parte di questi ultimi, perché tale circostanza non rileva essere un problema. Immorale è, piuttosto, la circostanza che a essere presenti alle feste, ad assumere droga o alcool fossero delle ragazze, delle donne. Di lì tutto è stato detto: “dov’erano i loro genitori?” oppure “se la sono cercata”.

“Se la sono cercata”. Una frase detta con leggerezza ma che fa venire i brividi. Una frase che mi riporta al diritto criminale dell’antica Roma dove la donna non era considerata vittima di violenza sessuale bensì complice o persino artefice del rapporto che era consumato ai suoi danni e contro la sua volontà. La donna era sempre consenziente. Il consenso proveniva da una concezione comune per la quale la donna rappresentava l’intrigo. Ella stessa era considerata la tentazione alla quale non si poteva resistere. 

La concezione dell’antica Roma non pare, poi, così lontana dalla grettezza d’oggi. Ritorniamo al caso Genovese. Le ragazze sono state considerate da molti causa della violenza sessuale di cui erano vittime perché presenti a quella festa. Avrebbero, quindi, dato un implicito consenso a quella violenza, per il solo fatto di essere presenti e disinibite.

Tirando le somme, viviamo in un contesto sociale difficile. Fuori dai denti: un contesto sociale spesso influenzato da mentalità maschilista e patriarcale.

Cosa fare per superarlo?


Ci sarebbe tanto da fare, da dire e da insegnare. Io direi questo ai nostri lettori.

Si è felici e completi anche da soli. Un partner, uomo o donna che sia, deve farci stare bene, essere un quid pluris, un qualcosa che si aggiunge a una vita già di per se stessa completa e che la rende una favola. Non abbiamo bisogno di qualcuno che ci renda opachi o che ci limiti nei comportamenti. Abbiamo necessità di persone che rendano la nostra vita a colori, che ci facciano brillare come diamanti, che ci valorizzino e credano in noi. Perché vivere nella paura di rispondere ai messaggi di qualche amico? Perché isolarsi dalle proprie amicizie? Perché non vestirsi come più ci piace? Chi è che dovrebbe arrogarsi il diritto di decidere cosa dobbiamo o non dobbiamo fare, con chi dobbiamo o non dobbiamo parlare, dove possiamo o non possiamo andare?

Ognuno di noi governa la propria vita e con le proprie capacità è in grado di decidere per sé e di realizzare grandi cosa. La vita è troppo preziosa per essere sprecata nelle paure altrui. Avere consapevolezza della unicità che ci contraddistingue è un primo passo per capire che nessuno è indispensabile per vivere o per essere felici. 

Non c’è gelosia che giustifichi le violenze psicologiche o fisiche. Chiunque sarebbe felice di amarci, di apprezzarci, di volerci fortemente per ciò che siamo. Per questo motivo, nessuno può ricattare con l’amore o con i sentimenti. 

Mi auguro che questo messaggio possa arrivare al cuore di tanti ragazzi e ragazze e che possa essere uno stimolo a denunciare ogni sorta di violenza o a reagire in situazioni di difficoltà. Abbiamo tutti gli strumenti per farlo.