Negli ultimi giorni, a ridosso del Consiglio europeo, si è discusso a lungo del MES e dell’utilizzo di Coronabond. Di seguito si cercherà di capire cosa siano MES e Coronabond e come potrebbero essere utilizzati in favore dell’economia nostrana ed europea ai tempi del coronavirus.
Lo scorso Consiglio europeo del 26 marzo 2020 si è concluso, dopo una discussione durata circa sei ore, con un accordo preliminare, assunto d’intesa tra tutti i capi di stato e di governo sulle misure d’intervento per affrontare gli effetti della pandemia da COVID-19.
La dichiarazione comune del Consiglio europeo prende atto del fatto che la pandemia di COVID-19 costituisce una sfida senza precedenti per l’Europa e il mondo intero e che pertanto urge una risposta risoluta e globale a livello sia europeo che nazionale, regionale e locale.
L’accordo preliminare assunto si muove su cinque filoni: limitare la diffusione del virus, fornire attrezzature mediche, promuovere la ricerca, affrontare le conseguenze socioeconomiche e cittadini bloccati in paesi terzi.
Per quanto riguarda l’aspetto socioeconomico, il Consiglio europeo, grazie al pugno duro del Presidente Giuseppe Conte, ha deciso di darsi appuntamento allo scadere dei successivi quattordici giorni al fine di presentare proposte che tengano conto del carattere eccezionale dello shock causato dalla diffusione del coronavirus in tutti i nostri paesi, garantendo flessibilità agli stati per poter realizzare le misure che ritengono necessarie. Il Presidente Conte in particolare ha richiesto l’utilizzo di meccanismi nuovi per far fronte alla situazione economica che si sta evolvendo a causa del COVID-19, rimandando al mittente la possibilità dell’utilizzo del MES e discutendo con Germania e Olanda sull’utilizzo dei Coronabond.
Il MES – Meccanismo Europeo di Sostenibilità – è un’istituzione finanziaria internazionale, sottoposta al diritto internazionale, che fornisce assistenza finanziaria ai paesi dell’eurozona che si trovano in difficoltà finanziarie o ne sono minacciati. Esso costituisce un fondo monetario permanente volto a dare sostegno temporaneo ai paesi che hanno adottato l’euro in caso di crisi e di probabile defaultcioè di insolvenza, incapacità di pagare i propri debiti. Il fine è mantenere la stabilità finanziaria della zona euro. Il MES dalla sua nascita è stato decisivo nella risoluzione delle crisi dei Paesi che avevano perso accesso al mercato come ad esempio la crisi greca. Rappresenta infatti una sorta di «assicurazione» (così come l’ha definita Giampaolo Galli), in quanto tranquillizza i mercati e rende meno probabile il ripetersi di situazioni di problematiche. È una manifestazione di solidarietà dei Paesi più solidi nei confronti di quelli più fragili dal momento che raccoglie fondi al fine di sostenere e finanziare gli Stati in temporanea difficoltà finanziaria. Per potervi accedere, lo Stato in difficoltà avanza una richiesta di assistenza al Presidente del Consiglio dei Governatori del fondo salva-Stati; il MES chiede alla Commissione europea di valutare lo stato di salute del Paese che ha chiesto aiuto e di definire il suo fabbisogno finanziario e dopo la valutazione, l’organo plenario del MES decide di agire e aiutare il Paese in difficoltà.
Benché l’Olanda abbia avallato l’ipotesi dell’utilizzo del MES, il MES non può essere uno strumento utile di deflazione della crisi economica in un contesto siffatto di diffusione pandemica del virus. La ratio con la quale è stato istituito il MES risponde all’esigenza di sanare lo stato di insolvenza di uno o pochi stati membri. Pertanto, questo non può rispondere ad una crisi globale e simmetrica ma a crisi asimmetriche. Grazie alla fermezza dimostrata dal Presidente Conte, appoggiato anche da altri leader europei, Il MES non sarà utilizzato per fronteggiare la crisi europea e non è stato inserito nell’accordo preliminare del 26 marzo scorso.
È in fase di discussione l’utilizzo dei Coronabond, uno degli «obiettivi dell’Italia» e di altri paesi, soprattutto dell’area mediterranea quali ad esempio la Spagna.
I Coronabond o European Ricovery Bond – come preferisce denominarli il Presidente Conte – sono una sorta dieurobond, ma non propriamente tali. Essi sono dei bond tramite i quali i Paesi che hanno una capacità di spesa ridotta possono far fronte alle spese ingenti conseguenti al contrasto della pandemia anche in ambito sanitario. Ma cosa significa bond?
Bond è il termine anglosassone con qui si indicano le obbligazioni. Consistono in titoli di debito che possono essere emessi da una società, un ente pubblico o stati sovrani al fine di finanziarsi. Rappresentano per l’investitore un titolo di credito che attribuisce il diritto di percepire, secondo modalità prefissate, degli interessi e a scadenza il rimborso del capitale. Chi emette bond, cioè obbligazioni, riceve un prestito da molti soggetti, risparmiatori e investitori diversi. Le obbligazioni possono essere emesse per diverse ragioni. Gli stati ad esempio usano questo strumento per finanziare la spesa corrente e pagare il debito in scadenza ovvero per fare investimenti. Quando i bond sono emessi da stati, si parla di titoli di stato. Alle obbligazioni è legato un certo tasso di rischio il quale dipende dalla situazione in cui versa chi emette le obbligazioni. Se chi si indebita emettendo delle obbligazioni versa in difficoltà oppure è già di per sé indebitato, le sue obbligazioni sono considerate più rischiose. Se invece chi emette delle obbligazioni ha una prospettiva di crescita positiva oppure ha adeguati profitti, allora le obbligazioni sono considerate meno rischiose. L’obbligazione è più rischiosa quando è più elevata la probabilità che l’emittente non riesca ad adempiere ai propri impegni contrattuali. In presenza di un alto rischio, è necessario che gli investitori siano attratti da un tasso di interesse più elevato. Tanto è alto il rischio di insolvenza da parte dell’emittente, tanto più è alto il tasso di interesse legato a quell’obbligazione. Tra i titoli di Stato meno rischiosi vi sono i bund tedeschicioè i titoli emessi dalla Germania, considerata economicamente e finanziariamente un paese solido. La differenza di rendimento tra i titoli di emittenti diversi (si pensi a Italia e Germania) è chiama spread. Più elevato è lo spread, maggiore è il rendimento dei titoli italiani rispetto a quelli tedeschi e pertanto sarà associato un rischio maggiore all’Italia quale paese emettente titoli di Stato.
Quando si parla di eurobond si suole indicare l’emissione di obbligazioni da parte di tutti gli stati dell’eurozona in maniera congiunta, emessi da un’agenzia europea per il debito. Qual è lo scopo? L’Europa “a due velocità” si divide tra paesi europei che risentono di difficoltà economiche e finanziarie per l’alto debito pubblico e il tasso elevato di disoccupazione, e paesi con una prospettiva di crescita positiva e considerati economicamente più solidi. Se i primi paesi (tra cui l’Italia), che versano in difficoltà, emettono obbligazioni sotto forma di titoli di Stato, il rischio legato alle obbligazioni è alto in quanto l’investitore sarà spaventato dal cattivo andamento finanziario ed economico dello stato. Di conseguenza, quel titolo di stato dovrà avere un tasso maggiore di interesse ed un rendimento più elevato. Più elevato è il rendimento, più si innalzerà lo spread.
Se invece i bond, ossia le obbligazioni, sono emessi congiuntamente dai paesi dell’eurozona sotto forma di eurobond, gli investitori saranno tranquillizzati dalla “tutela” offerta dagli stati più solidi. Gli eurobond quindi danno vita ad un nuovo e grande mercato di obbligazioni, trasformando il tasso di rischio individuale di un singolo paese in frazione di rischio collettiva. Di questo, non troverebbero giovamento paesi che vantano una migliore situazione economica quali Germania e Olanda che dovrebbero sostenere una spesa maggiore per pagare la loro parte di interessi dell’eurobond.
Nel caso dei coronabond, benché spesse volte si parli di eurobond, in realtà non è così. Non si tratta di veri e propri eurobond, ma di obbligazioni europee, emesse non da un’agenzia europea – come per gli eurobond – ma singolarmente dai singoli stati dell’eurozona per far fronte alle spese legate al contrasto della diffusione del coronavirus. Pertanto, non sono garantiti dalla Banca Centrale Europa bensì dalla BEI cioè dalla Banca europea per gli investimenti o da altri enti creditizi.
Il loro scopo è quello di garantire a tutti gli stati, con riguardo in particolare a quegli che versano in una situazione economia svantaggiata, di poter reperire la quantità di denaro che è funzionale all’acquisto di beni per il contrasto al coronavirus, come i dispositivi medici, e al potenziamento o alla costruzione di ospedali.
Ad oggi, l’ipotesi della condivisione dei debiti è sostenuta da Italia e Spagna, sorrette anche dalla Francia, ma contrastata anzitutto da Germania, seguita da Olanda, Austria e Finlandia. È recente la dichiarazione del Vicepresidente della BCE, Luis de Guindos, il quale nel corso di un intervento alla radio spagnola Cope ha dichiarato di essere favorevole ai coronabond, sottolineando che «si tratta di una pandemia che avrà ripercussioni su tutti» e che innescherà una crisi economia completamente diversa da quella del 2008-2009. Nella contrapposizione di idee, una luce in fondo al tunnel sembra essere tracciata da Paolo Gentiloni, Commissario europeo all’Economia, il quale nelle ultime ore ha rilasciato una dichiarazione su Radio Capital, affermando che ci sia la strada per poter trovare un’intesta fra gli Stati.
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