Una riflessione su come il diritto può segnare la svolta per la tutela dell’ambiente nell’interesse delle generazioni future.

L’habitus vivendi occidentale implica conseguenze gravi e irreversibili a livello ambientale. Le catastrofi naturali, i cambiamenti climatici, la deforestazione, il degrado ambientale, l’estinzione di specie animali si verificano con sempre maggior frequenza e rappresentano dei campanelli di allarme sociale che devono indurre ad una riflessione politica, seria e responsabile.

Innanzi ad uno scenario siffatto, la politica deve prendere le misure necessarie per segnare un punto di svolta epocale nella società per la tutela dell’ambiente nell’interesse delle generazioni future.

Ubi societas, ibi ius.

Per imprimere un cambiamento nella società è imprescindibile l’utilizzo del diritto. Il diritto, differentemente da altre scienze, è prescrittivo: si prescrivono i comportamenti da tenere e quelli da cui astenersi. Le norme sono strumenti di valutazione del comportamento poste per disciplinare la condotta dei consociati.

Se il fine è rendere la società sostenibile per la tutela dell’ambiente e l’interesse delle generazioni future, è necessario individuare il significato sotteso al termine “sostenibilità” e di seguito guardare agli istituti del diritto civile (proprietà, contratto e responsabilità) e al loro impiego per la tutela delle generazioni future.

Il termine “sostenibilità” è inflazionato nell’attuale dibattito politico, vista la sua poliedricità: sostenibilità economica, tecnologica, delle infrastrutture e dei trasporti, dell’alimentazione. Sostenibilità pare essere la finalità cui devono aspirare tutte le scienze e le discipline. Invero essa è l’oggetto di una valutazione effettuata in un determinato settore.

In diritto è una clausola generale, un cd. pseudo-principio, una norma generale ed elastica che assume significato dall’interpretazione in chiave evolutiva, per sintetizzare tutti i principi talvolta frammentari che convergono quando si delinea un valore specifico. Essendo la clausola generale per sua natura vaga, è necessario ricercare le accezioni da attribuirle. Sostenibilità deriva dal verbo “sostenere”, pertanto rimanda alla possibilità di sopportare dei fenomeni.

Si potrebbe legare il significato di sostenibilità ai termini “sviluppo” ed “esternalità”: sviluppo inteso come crescita dell’economia e mutamento delle condizioni di vita; esternalità, quale prodotto dello sviluppo tecnologico, il quale comporta costi che non ricadono su chi fruisce dello sviluppo.

L’esternalità è efficiente e sostenibile quando è inferiore rispetto ai vantaggi, quindi quando il saldo finale è positivo, per cui il livello di ricchezza generale aumenta. La sostenibilità costituisce un mezzo alternativo di valutazione dell’impatto dell’esternalità.

L’oggetto della valutazione è la gestione dell’esternalità in senso meramente efficientistico, in una prospettiva sistemica ossia guardando all’impatto che può avere un certo danno non solo rispetto ad un soggetto ma sul sistema in sé dei temi ambientali. Il giudizio di sostenibilità non deve rivolgersi nella prospettiva del solo danneggiato ma deve necessariamente considerare interessi altri e diversi.

Al fine di costruire la nozione di sostenibilità, considerando la logica delle generazioni future, è necessario un excursus del sistema giuridico normativo nato dalla rivoluzione industriale, non solo nella prospettiva delle regole dell’economia, bensì delle regole dei diritti soggetti, che sono state il manifesto della rivoluzione borghese dell’800.

Il sistema giuridico moderno nasce con l’affermazione da parte della borghesia industriale del diritto di proprietà quale diritto di avere titolarità sulle “cose”.  Tra titolarità del diritto e funzione c’è perfetta coincidenza, il che vuol dire piena libertà.

Il titolare di una situazione giuridica soggettiva è libero di agire nei limiti della stessa senza intaccare la sfera giuridica soggettiva altrui. Esercita i poteri che sono legati al diritto di cui è titolare. Il proprietario di un bene può distruggerlo, cederlo, utilizzarlo o non curarlo. Il soggetto, al fine di proteggere il suo interesse al bene sotteso al suo diritto, è titolare di forme di tutela primaria quali ad esempio il risarcimento del danno o l’azione inibitoria.

L’azione inibitoria è un tipo di rimedio fondamentale per agire in chiave fisiologica e non patologica, per impedire danni che non sempre si possono riparare. Essa è efficiente quando il soggetto a cui viene inibito un certo comportamento ha convenienza a non rischiare. L’azione inibitoria, quale può essere l’ordine del giudice di cessare un’attività dannosa, serve poco per la tutela dei beni comuni.

Altro rimedio è il danno punitivo, ossia un danno ultra-compensativo per il quale si condanna al pagamento di una somma superiore rispetto al danno prodotto. Si applica il cd. criterio del moltiplicatore: si condanna non solo per il danno che il singolo ha subito, ma per il danno che una molteplicità di soggetti subiscono.