La crescita esponenziale dell’umanità, il cambiamento climatico, la deforestazione e la riduzione della biodiversità stanno mettendo a dura prova la salute del nostro Pianeta.

Basti pensare che oggi l’impronta ecologica degli esseri umani sulla Terra ha raggiunto il record storico di quasi 1,5. L’Earth overshoot day ossia il “capodanno delle risorse prodotte dal pianeta e consumate nel corso dell’anno” nel 2020 è caduto il 29 luglio: ciò significa che ogni anno, da agosto a dicembre si consumano risorse che la terra non ha prodotto. Un dato allarmante, certo, per le sorti del pianeta ma rassicurante rispetto al passato. Grazie alle misure adottate a livello mondiale per contrastare l’emergenza Covid-19, l’impronta ecologica dell’uomo è diminuita. L’earth overshoot day si era registrato in netto anticipo gli scorsi anni. Nel 2019, ad esempio, la ricorrenza è caduta il 29 luglio.

La colpa non è, però, da attribuirsi alla società mondiale, ma specificamente a quella del Nord del mondo. Se si vivesse come a Cupertino non sarebbero sufficienti le risorse di sei pianeti per sostenere il modus vivendi adottato; viceversa, se vivessimo come al Sud del Mondo, ci basterebbero la metà delle risorse prodotte ogni anno.

L’impronta ecologica dovrebbe essere la preoccupazione principe di ogni cittadino e soprattutto della classe politica, ma è un concetto sconosciuto ai più.

È bene affrontare la questione non soltanto in ottica scientifica, ma anche dal punto di vista del diritto pubblico. Tramite il diritto pubblico, infatti, si esercita la sovranità politica. Il diritto internazionale e quello euro-unitario paiono essere le branche del diritto idonee affinché gli Stati si vincolino reciprocamente e determinino il comportamento dei loro cittadini.

Tuttavia, le convocazioni dei vertici internazionali come Kyoto e COP 21 di Parigi paiono rappresentare solo delle dichiarazioni di buone intenzioni, degli interventi imposti dall’alto verso il basso. Non è trascurabile neppure il fatto che la sovranità sembri essere passata dagli Stati alle grandi multinazionali che detengono un enorme potere politico determinato dalla concentrazione di capitale.

A livello euro-unitario, l’Unione Europea ha fissato degli obiettivi precisi per orientare la politica europea in materia di ambiente fino al 2020 e ha elaborato una visione che si spinge fino al 2050, con il sostegno di programmi di ricerca, normative e finanziamenti specifici:

  • proteggere, conservare e migliorare il capitale naturale dell’UE;
  • trasformare l’UE in un’economia a basse emissioni di CO2, efficiente nell’impiego delle risorse, verde e competitiva;
  • proteggere i cittadini dell’UE da pressioni e rischi per la salute e il benessere legati all’ambiente.

L’Unione europea (UE) ha standard di qualità ambientale tra i più elevati al mondo, sviluppati nel corso di vari decenni. Il TFUE agli articoli 11, 191,192,192 pone le basi della politica ambientale europea.

Ai sensi dell’articolo 191, la lotta ai cambiamenti climatici è un obiettivo esplicito della politica ambientale dell’UE. Lo sviluppo sostenibile è un obiettivo generale per l’Unione europea, che è impegnata a garantire “un livello elevato di tutela dell’ambiente e il miglioramento della sua qualità” (articolo 3 del trattato sull’Unione europea). Sono molteplici gli ambiti di intervento politico-ambientale del Parlamento europeo: trasporti, clima, rifiuti, inquinamento atmosferico, gestione e protezione delle acque, gestione e protezione dei rifiuti, protezione del suolo, biodiversità, inquinamento acustico.

Tutto questo però non è sufficiente. In considerazione di quanto detto, e del fatto che gli accordi internazionali non siano in grado di vincolare tutti i Paesi più industrializzati del mondo, la domanda da porsi non deve essere “cosa l’Unione Europea può fare per l’ambiente?” ma “cosa il cittadino europeo può fare per l’ambiente?”.

Si rende urgente un cambio di paradigma. Gli stimoli non devono essere imposti dall’alto verso il basso, ma dovrebbero essere mossi dal basso verso l’alto. I cittadini cambiando il loro modus vivendi possono influire positivamente persino sui mercati. Si pensi all’utilizzo dell’olio di palma che è stato ridotto fortemente dalle maggiori industrie di prodotti alimentari. Questo grazie alla moltitudine di consumatori che hanno modificato i loro acquisti quotidiani.

Non si può negare che un aiuto al cambiamento può essere offerto dalle Istituzioni, talvolta con incentivi talaltra con onerosità. Nell’un caso si pensi all’Ecobonus che permette di acquistare un veicolo a basse emissioni di CO2 ad un prezzo più vantaggioso di quello di mercato; nell’altro invece al prezzo dei sacchetti di plastica imposto ai rivenditori: una scelta che ha condizionato il modo di acquisto dei cittadini, sempre più attenti a munirsi di un sacchetto riciclabile o riutilizzabile.

Imprescindibile si dimostra essere un’educazione alla tutela dell’ambiente e ad utilizzo parsimonioso delle risorse, oltre che la rivalutazione dei beni comuni e sovrani. I cittadini devono prendersi cura dell’ambiente a livello locale nelle sue molteplici forme e fare propri gli obiettivi fissati a livello europeo. Solo in questo modo potremmo realizzare gli obiettivi posti dall’Unione Europa di raggiungimenti di un elevato livello di tutela ambientale regionale o mondiale.