Le cronache degli ultimi giorni dipingono un quadro allarmante: sempre più donne sono vittima di revenge porn. Scopriamo insieme in cosa consiste e quali tutele offre l’ordinamento.

Nelle ultime ventiquattro ore sono due le notizie diffuse dai media sul revenge porn di cui sono state vittima una ragazza giovanissima, dell’età di 19 anni, e una maestra d’asilo, costretta alle dimissioni. In entrambi i casi, gli ex fidanzati avrebbero pubblicato sui social network delle immagini private senza il consenso delle malcapitate. 

Revenge porn: cos’è

Il “revenge porn”, termine mutuato dalla legislazione inglese, è un reato di recente introduzione nell’ordinamento nostrano consistente nella diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti.

È normato all’articolo 612ter del codice penale il quale dispone che:

«1. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, dopo averli realizzati o sottratti, invia, consegna, cede, pubblica o diffonde immagini o video a contenuto sessualmente esplicito, destinati a rimanere privati, senza il consenso delle persone rappresentate, e’ punito con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da euro 5.000 a euro 15.000. 2. La stessa pena si applica a chi, avendo ricevuto o comunque acquisito le immagini o i video di cui al primo comma, li invia, consegna, cede, pubblica o diffonde senza il consenso delle persone rappresentate al fine di recare loro nocumento. 3. La pena è aumentata se i fatti sono commessi dal coniuge, anche separato o divorziato, o da persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa ovvero se i fatti sono commessi attraverso strumenti informatici o telematici. 4.La pena è aumentata da un terzo alla metà se i fatti sono commessi in danno di persona in condizione di inferiorità  fisica o psichica o in danno di una donna in stato di gravidanza. 5. Il delitto è punito a querela della persona offesa. Il termine per la proposizione della querela è di sei mesi. La remissione della querela può essere soltanto processuale. Si procede tuttavia d’ufficio nei casi di cui al quarto comma, nonchè quando il fatto è connesso con altro delitto per il quale si deve procedere d’ufficio.».

Revenge porn: l’introduzione nell’ordinamento italiano

Il reato di revenge porn, rubricato nel nostro codice penale “Diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti”, è stato introdotto dalla legge del 19 luglio 2019, n. 69, cd. Codice rosso. Lo scopo che si intende perseguire è contrastare e combattere in modo incisivo la violenza di genere in ogni sua manifestazione, tra cui la diffusione di immagini o video riguardanti l’intimità di una persona. Si è avvertita fortemente l’esigenza di criminalizzare in modo specifico queste condotte, profondamente offensive, per la loro preoccupante crescita, con una norma ad hoc. Prima dell’introduzione dell’articolo 612ter c.p., infatti, la diffusione di immagini o video contro il consenso dell’interessato poteva essere sussunta in fattispecie diverse come il reato di diffamazione, di stalking o di lesione alla privacy.

Per meglio comprendere la ratio legis, è bene fare un cenno alla scelta condotta dal Legislatore in ordine alla collocazione sistematica all’interno del codice penale. La norma è stata introdotta nella sezione III del Capo III del titolo XII del Codice penale rubricato «Dei delitti contro la libertà individuale», ove sono presenti i delitti contro la persona. La scelta di inserire la disposizione in tale sezione, piuttosto che in quella dei reati contro l’onore, è esplicativa di ciò, del fatto che il reato di revenge porn non può essere considerato solo lesivo dell’onore o del decoro di una persona, ma comporta un disprezzo per la dignità, ledendo la libertà della persona sul piano della propria vita relazionale e sessuale.

Revenge porn: la fattispecie di reato

Al primo comma, l’art. 612ter c.p. punisce con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da euro 5.000 a euro 15.000, chiunque diffonda immagini o video a contenuto sessuale esplicito, dopo averli realizzati o sottratti, senza il consenso delle persone ivi rappresentate, purché il fatto non sia sussumibile in una fattispecie di reato più grave, cioè che preveda pene più severe. Il soggetto attivo, cioè colui che agisce, in tal caso è chiunque diffonda il video o le immagini ancorché non sia stato l’autore. È sufficiente, infatti, che abbia sottratto, con metodo violento o fraudolento il materiale successivamente diffuso senza consenso.

Il secondo comma, invece, fa riferimento all’ipotesi in cui la diffusione del video o delle immagini sessualmente espliciti sia avvenuto a seguito della ricezione del video o dalla loro acquisizione. In tal caso, il dolo è specifico in quanto lo scopo dell’autore è quello di ledere la persona rappresentata, traendone vanto o ludibrio.

Il terzo e il quarto comma prevedono alcune circostanze aggravanti di reato, al verificarsi delle quali è necessario un conseguente innalzamento della pena da irrogare all’autore. In particolare, al terzo comma si prevede un innalzamento di pena del caso in cui l’autore sia un coniuge, anche divorziato o separato, ovvero una persona legata alla vittima da una relazione affettiva o nel caso in cui il reato è stato commesso tramite l’uso di strumenti informatici o telematici. Al quarto comma la circostanza aggravante è prevista nel caso in cui la persona offesa sia in condizione di inferiorità fisica o psichica o una donna in stato di gravidanza. 

Revenge porn: come sporgere querela

Il reato è procedibile a querela della persona offesa. Pertanto, affinché le autorità procedano in ordine a tale reato, è necessario che la vittima sporga querela. Generalmente, il termine entro il quale presentare querela è di tre mesi dal giorno della notizia del fatto di reato ma in ipotesi particolari, come la presente, il termine è aumentato a sei mesi. La querela può essere proposta personalmente dalla vittima ovvero dal suo procuratore speciale. 

La querela è un atto a forma libera. Questo significa che non è richiesta alcuna formula sacramentale e non è prevista alcuna manifestazione esplicita di perseguire gli autori del fatto. Per presentare querela è sufficiente proporre una dichiarazione:

  • orale: la dichiarazione è trascritta su un verbale che dovrà essere sottoscritto dal querelante o dal suo procuratore speciale.
  • scritta. 

Il querelante deve esporre i fatti senza indicare quale reato sia configurabile. Nella presentazione della querela, è fondamentale attestare la data e il luogo della presentazione. Qualora la querela è spedita a mezzo posta, è considerata la data di ricezione da parte dell’autorità che la riceve. Qualora manchi la data e il luogo, la querela è improcedibile.

La querela deve essere presentata al PM o all’ufficiale di polizia giudiziaria ovvero a un agente consolare all’estero. 

Nel caso in cui il reato è commesso in danno di una persona in condizione di inferiorità fisica o psichica o di una donna in stato di gravidanza, il reato è procedibile d’ufficio, senza necessità di querela della persona offesa.