Gli screenshot di chat e conversazioni hanno valenza probatoria nei processi? Scopriamolo insieme!

PREMESSA: COS’È LA PROVA

Il termine “prova” non ha un significato univoco ma può indicare alternativamente:

  • il mezzo di prova: cioè lo strumento tramite il quale il giudice forma il suo convincimento circa la fondatezza dei fatti dedotti dalle parti nel corso del procedimento;
  • il risultato che si intende raggiungere sul piano probatorio, cioè la formazione del convincimento del giudice sulla veridicità del fatto.

Le prove possono classificarsi a seconda di diversi criteri quali l’efficacia, l’oggetto, l’intensità dell’efficacia, il momento in cui si formano le prove, l’idoneità del fatto da provare, l’ammissibilità dal punto di vista soggettivo o oggettivo. 

LA PROVA NEL PROCESSO CIVILE

Le prove entrano nel processo tramite un processo che si compone di tre fasi:

  • l’istanza di parte con cui una parte chiede al giudice di compiere attività istruttoria per consentire la raccolta della prova nel processo;
  • il provvedimento di ammissione che il giudice emana sotto forma di ordinanza con cui valuta l’ammissibilità e la rilevanza dei mezzi di prova;
  • l’assunzione della prova, quale conseguenza dell’esecuzione dell’ordinanza di ammissione della prova.

Nel processo civile, non tutti i mezzi di prova sono ammissibili. Vige, infatti, il principio di tipicità dei mezzi di prova in virtù del quale possono essere ammessi nel processo solo taluni mezzi di prova, esclusivamente predisposti e disciplinati dalla legge. Di talché, il giudice non può inventare nuovi mezzi di prova, né le parti possono usare mezzi differenti rispetto a quelli che il Legislatore ha espressamente previsto e disciplinato.

Tuttavia, pur in vigenza di tale principio, è possibile ammettere delle prove cd. “atipiche”, non espressamente previste dal Legislatore. In tal caso, il giudice le può assumere allorquando le ritenga idonee ad assicurare l’accertamento dei fatti e ove non pregiudichi la libertà morale della persona, dopo aver sentito le parti. 

PROVA NEL PROCESSO PENALE

Anche nel diritto processuale penale, il termine “prova” rimanda a plurimi significati. Con esso si può intendere:

  • la fonte di prova: cioè le fonti da cui si assumono dei fatti, quali persone, cose o luoghi;
  • il mezzo di prova: cioè lo strumento che si acquisisce nel processo affinché il giudice possa formare il suo convincimento su un fatto;
  • il mezzo di ricerca di prova: cioè l’elemento probatorio che preesiste allo svolgersi del mezzo (es. perquisizione);
  • elemento e risultato di prova: cioè l’informazione che si ricava dalla fonte di prova quando non è ancora stata valutata dal giudice;
  • prova rappresentativa: cioè l’accadimento del passato ricostruito dal giudice dalla fonte di prova;
  • prova indiretta o indiziaria: cioè un fatto di per sé non rilevante, di valore solo indiziario, che si ricava dalla fonte di prova.

Come previsto nel diritto processuale civile, anche nel processo penale è possibile ammettere prove non espressamente previste dalla legge. Ai sensi dell’art. 189 c.p. si dispone che è ammissibile la richiesta di una prova non disciplinata dalla legge. In tal caso, il giudice può assumere la prova “atipica” se risulta idonea ad assicurare l’accertamento dei fatti e non pregiudica la libertà morale della persona. Il giudice provvede all’ammissione, sentite le parti sulla modalità di assunzione della prova.

IL PARERE DELLA GIURISPRUDENZA

Sia con riferimento al diritto processuale civile, sia con riferimento al diritto processuale penale, lo screenshot di una chat o di una conversazione non è prevista quale prova tipica. 

Ci si è, quindi, chiesti se è ammissibile nel processo uno screenshot e se si possa attribuirgli valenza probatoria. 

Secondo orientamento costante e maggioritario della giurisprudenza, è lecita l’acquisizione degli screenshotquale prova documentale. Lo screenshot è soggetto alla libera valutazione del giudice che può attribuire valore probatorio anche se lo screenshot è privo di certificazione ufficiale di conformità e se l’imputato ne abbia disconosciuto il contenuto[1]. Si tratta, nel caso di specie trattato dalla giurisprudenza citata, dell’acquisizione di una schermata dei dati forniti dal monitor di un device cioè di uno smartphone.

Sebbene l’orientamento giurisprudenziale sia, in buona parte, orientato ad ammettere la valenza probatoria degli screenshot di conversazioni private, non manca chi afferma il contrario. Gli Ermellini[2] hanno ritenuto legittimo il provvedimento con cui il giudice di merito rigetta l’istanza di acquisizione della trascrizione (screenshot) di conversazioni, effettuate via “whatsapp” e registrate da uno degli interlocutori, in quanto, pur concretandosi essa nella memorizzazione di un fatto storico, costituente prova documentale, ex art. 234 c.p.p., la sua utilizzabilità è condizionata all’acquisizione del supporto telematico o figurativo contenente la relativa registrazione, al fine di verificare l’affidabilità, la provenienza e l’attendibilità del contenuto di dette conversazioni.


[1] Cass. pen., 15 maggio 2020, n.15243, Cass. pen, del 16 gennaio 2018, n. 8736; Cass. pen. del 21 novembre 2014, n. 52017.

[2] Cass. pen., 4 marzo 2020, n. 8782; Cass. pen., 19 giugno 2017, n. 49016.